Lo Psichiatra

Un freddo vento autunnale spazzava il cielo, di un grigio spettrale, soffiando con rabbia contro la finestra socchiusa.
Mi alzai per chiuderlo fuori dalla stanza, senza perdere di vista l’uomo seduto davanti a me. I suoi occhi fissavano un angolo del soffitto, come se in quel punto fosse scritto il discorso senza senso che mi stava propinando. Di tanto in tanto soffiava su un ciuffo di capelli biondo cenere che gli cadeva sulla fronte, mentre con la mano destra stringeva le dita della sinistra così forte da farmi temere che, prima o poi, se le sarebbe staccate.
Ogni volta che lo incontravo mi ponevo la stessa domanda: possibile che l’uomo che avevo di fronte, un insignificante quarantenne dalla pelle diafana e dalle orecchie fin troppo grandi per un viso così piccolo, si fosse macchiato degli orrendi omicidi di cui tanto si parlava?Avevo solo un modo per scoprirlo; non dovevo far altro che provocarlo per tirare fuori la bestia che si celava all’interno di quel corpo tutto ossa e nervi. In fondo ero lì per quello. Finora ogni mio tentativo si era concluso con un nulla di fatto, ma sapevo che era solo una questione di tempo; ogni suo gesto, anche il più insignificante come toccarsi la punta del naso mentre cercava, chissà dove, di trovare la parola giusta per concludere una frase o strizzare gli occhi quando lo obbligavo a cambiare discorso, aveva un unico significato: la bestia non vedeva l’ora di uscire. Era lì, da qualche parte, e anche se saltava fuori solo quando sentiva il famelico desiderio di placare la propria sete di sangue, ero certo che mi sarebbe bastato trovare il tasto giusto per farla uscire allo scoperto una volta per tutte.
Presi un lungo respiro e chiusi gli occhi cercando, dentro di me, il coraggio per affrontare il mostro che si celava dietro al piagnucoloso sguardo di un uomo che, per come lo conoscevo io, non era in grado di far male nemmeno a una mosca.
“Sam…” Dissi dopo averli riaperti, con un filo di voce che cadde nel vuoto senza lambire le orecchie di un tizio che sembrava vivere su un altro pianeta.
Mi schiarii la gola e ritentai usando, questa volta, il tono deciso di un padre severo. Fu in quel momento, quando i miei occhi incocciarono il suo sguardo, che capì che la belva era appena entrata nella stanza. Le sue pupille scivolarono lentamente dall’angolo del soffitto, fermandosi nel momento in cui incrociarono il mio viso. Per la prima volta mi accorsi che tra le sue iridi verdi c’era un’insolita velatura grigia che rendeva quegli occhi al tempo stesso affascinanti e minacciosi.
 “Mi dica, dottore.”
Non avevo mai udito quella voce; il suo tono, freddo e distaccato, mi paralizzò; cercai di accavallare le gambe, un gesto che mi conferiva una certa tranquillità nei rari momenti in cui mi sentivo minacciato, ma non ci riuscii. Mi sembrava di essere avvinghiato alla sedia da una invisibile corda d’acciaio, con i muscoli delle cosce improvvisamente pesanti come macigni, come se una corda invisibile mi avesse avvinghiato alla sedia. Riuscivo a muovere solo le labbra e gli occhi. In quel momento compresi che non ero più il cacciatore, ma una semplice, inerme, succulenta preda.
 “Chi sei?” Gli chiesi, con la fronte che si imperlava di un sudore sempre più gelido.
Mi sentivo minacciato da quegli occhi ferini; istintivamente, lanciai un’occhiata furtiva verso l’angolo della scrivania, dove lasciavo il cellulare durante le sedute. Sam mi imitò, aggrottando le sopracciglia e abbozzando un sorriso beffardo.
“La vedo agitata. – Disse, con quel suo nuovo, flemmatico timbro di voce. – Non deve aver paura. Io sono suo amico.”
Quelle parole ebbero il potere di terrorizzarmi. La sua voce mi circondava, come se fosse un’eco spaventosa che rischiava di farmi scoppiare la testa. Mi tirai indietro, un gesto tanto istintivo quanto sciocco che venne percepito come un segnale di debolezza. Ero pronto a urlare, ma prima che potessi spalancare la bocca Sam si portò l’ossuto indice della mano destra sulle labbra.
“Non vorrà rovinare tutto attirando l’attenzione, vero? Sono anni che aspetta questo momento, dottore. E vuole sapere una cosa? Anche io.” Sollevò i lembi della bocca, contraendo i muscoli facciali in una smorfia grottesca che aumentò i miei battiti cardiaci. Sentivo il cuore pulsare all’impazzata in ogni anfratto del mio corpo; lo sentivo nei polpastrelli, nel collo, tra le tempie, in ogni piega della pelle. Quell’uomo, con poche semplici parole, mi era entrato dentro. Non avevo mai provato una sensazione simile, un misto di impotenza e terrore che mi stava conducendo verso il baratro. In quanto tempo mi avrebbe divorato? Abbassai lo sguardo, pregando disperatamente che le lancette fossero entrambe sul sei; invece, mancava ancora una discreta manciata di minuti al termine della seduta.
In quell’istante Sam si alzò con gesti lenti, controllando ogni suo movimento con sinistra armonia; si fermò a pochi centimetri dal mio naso, tanto che potevo respirare il fetore di tabacco e whisky che gli usciva dalla bocca a ogni respiro. L’odore della sua pelle, un misto di sudore e deodorante alla menta, saturava l’aria. Con un gesto ancora più lento dei precedenti, tirò fuori dalla tasca uno zippo. Trasalii nel vedere quell’oggetto nella sua mano, ma prima che potessi domandarmi come fosse stato in grado di procurarselo, un tanfo di benzina si unì a quel miasma, stordendomi.
Sam mi sorrise mentre apriva e chiudeva lo zippo con ritmici gesti cadenzati.
“Ha una sigaretta, dottore?”
Scossi la testa, sempre più spaventato ma, al tempo stesso, rapito dall’ipnotico suono metallico del coperchio dello zippo.
“Peccato. Sa da quanto non fumo?”
Scossi di nuovo la testa mentre i nostri nasi si sfioravano. Potevo sentire ogni sfaccettatura dell’odore della sua pelle mentre lui, di certo, aveva già subodorato il tanfo della mia paura.
“Stai tranquillo, dottore. – Disse, alitandomi in faccia tutto il rancore che provava per me. – Hai fatto il tuo dovere. Adesso smettila di opporre resistenza e rilassati. E’ tempo che ti metti in disparte e lasci che siano gli adulti a giocare.”
Poi fece un passo indietro. In quel momento, mentre il cervello analizzava in modo professionale quelle parole, mi sentii improvvisamente libero. Le gambe erano di nuovo leggere, le braccia sciolte e i muscoli del collo, fino a pochi secondi prima tesi come corde di uno Stradivari, liberi di muoversi. Anche il cuore aveva ripreso un ritmo accettabile, nonostante mi sentissi ancora minacciato da quell’uomo. “Non sono mai stato una minaccia. – Disse all’improvviso, come se mi avesse letto nel pensiero. – E’ giunto il tempo che ti accetti per ciò che sei veramente.”
Quell’ultima frase uscì contemporaneamente sia dalla mia bocca che dalla sua. Un alito di vento spalancò la finestra, divertendosi a far danzare la tenda mentre i timidi raggi di un sole ancora in letargo contornavano di un alone chiaro lo specchio che continuavo a fissare dal momento in cui mi ero alzato dalla sedia. Feci scattare ancora una volta lo zippo e soffiai di nuovo sul ciuffo di capelli che mi solleticava la fronte. Poi tornai a fissare lo specchio. I nostri sguardi si incrociarono ancora, ma questa volta non erano più quelli diuno psichiatra annoiato e del suo timido e complessato paziente; no, questa volta erano gli stessi sguardi fieri di chi non aveva più alcun motivo pernascondersi. Un sorriso fiero si materializzò sui nostri volti, finalmente distesi. Dopo tutto quel tempo ero riuscito a tirar fuori la bestia che vedevo riflessa ogni giorno nello specchio, quella parte di me che emergeva di rado e che aveva il potere di annientarmi e di farmi fare tutto quello che voleva.
 “Da oggi, saremo una cosa sola.”
Ancora una volta le nostre voci si accavallarono.
In quell’istante il trillo del campanello ci obbligò a voltarci verso la porta. Le lancette erano giunte entrambe sul sei. Guardai l’uomo riflesso nello specchio e gli sorrisi. Lui fece lo stesso, mentre entrambi immaginavano il volto dell’uomo sovrappeso che avevo in cura da sei mesi. Si chiamava David e aveva un complesso di inferiorità che combatteva ingozzandosi fino a scoppiare; ero certo che non appena usciva dal mio studio riprendeva a rimpinzarsi come una pignatta. Avevo cercato di aiutarlo in tutti i modi, senza grossi risultati; ma, adesso, avevo finalmente trovato il rimedio definitivo a tutti i suoi problemi. Prima di andare ad aprire la porta fissai di nuovo l’uomo riflesso nello specchio.
 “La nostra prossima vittima…” Dissi, sorridendo.
 Sam ricambiò il sorriso, annuendo divertito.

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Credits: Alice Borio

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